Italia condannata dalla Corte di Giustizia Europea per il D.Lgs 626/94

La Corte di Giustizia Europea, con una sentenza del 15 novembre 2001 relativa alla causa C-49/00 tra la Commissione europea e la Repubblica Italiana, ha condannato l'Italia per l'applicazione non corretta della Direttiva 89/391/CEE, recepita in Italia con il Titolo I del D.Lgs. 626/94, riguardante l'attuazione delle misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro.

La Corte di Giustizia ha condannato l'Italia perché:

1) non ha chiaramente indicato che il datore di lavoro deve valutare tutti i rischi per la salute e la sicurezza che esistono sul posto di lavoro; infatti l'art. 6 paragrafo 3, lettera a) della direttiva, indica che il datore di lavoro deve "valutare i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici e nella sistemazione dei luoghi di lavoro", mentre nell'art. 4 comma 1 del D.Lgs. 626/94 sparisce "anche" e la valutazione sembra non rivolgersi a tutti i rischi presenti;

2) ha lasciato al datore di lavoro la scelta se ricorrere o meno a servizi esterni di protezione e prevenzione se nell'azienda non vi sono competenze sufficienti: infatti l'art. 8 comma 4 del D.Lgs 626/94 è in contrasto con l'art. 7, paragrafo 3 della direttiva che specifica "Se le competenze nell'impresa e/o nello stabilimento sono insufficienti per organizzare dette attività di protezione e prevenzione, il datore di lavoro deve fare ricorso a competenze (persone o servizi) esterne all'impresa e/o allo stabilimento";

3) non ha definito con precisione le capacità e le attitudini che le persone o i servizi esterni consultati devono possedere relativamente alla protezione e prevenzione dai rischi professionali per la salute e la sicurezza dei lavoratori; in questo caso i paragrafi 5 e 8 dell'art. 7 della direttiva non concordano con l'articolo 8 del D.Lgs. 626/94.